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Valutazione di impatto sociale: stato dell’arte e prospettive future

La valutazione dell’impatto sociale e le relative sperimentazioni stanno catalizzando sempre di più l’interesse degli studiosi e degli operatori sia del terzo settore che del mondo profit nel suo complesso. La crescente attenzione sul tema nasce “dalla fase di passaggio che il Terzo settore italiano sta attraversando e che si lega inevitabilmente alla transizione da un modello di welfare state ad uno di welfare society, due sistemi di welfare che si basano su altrettanti principi” (Zamagni et al, 2015) Da un lato, quello di welfare state, basato sul concetto redistributivo in cui lo Stato preleva dai cittadini risorse tramite la tassazione e le redistribuisce attraverso il sistema di welfare; dall’altro, quello di welfare society, nel quale i cittadini sono coinvolti attivamente nel processo di pianificazione e di produzione dei servizi (co-produzione), superando la dicotomia pubblico-privato in ottica anche del principio di sussidiarietà previsto dalla nostra Costituzione. Questo profondo cambiamento, determinato anche dalla necessità di risposta a fronte di sistemi di welfare sotto pressione e dal simultaneo crescere di bisogni sociali insoddisfatti, ha provocato una metamorfosi del Terzo settore che è passato dall’essere redistributivo a produttivo. Nell’ultimo ventennio si è assistito infatti ad un mutamento in tal senso che ha inciso sia sulle modalità di reperimento delle risorse da parte delle istituzioni non profit (sempre più orientate al mercato e alla dimensione commerciale) e sia sulla conseguente necessità di implementare metodologie e strumenti per la valutazione dell’impatto sociale del loro operato sulle comunità e sugli stakeholders di riferimento.

La questione della valutazione dell’impatto sociale inoltre si lega alla crescente rilevanza che il tema – a livello di stimolo dei processi di accountability e trasparenza – ha assunto nella sua dimensione comunitaria (CESE: 2008; 2009; 2013; GECES 2014) al fine anche di promuovere un progressivo adeguamento delle disposizioni normative, nonché un’armonizzazione di orientamenti, approcci e quadri di riferimento ai quali ricondurre esperienze operativamente messe in campo dai Paesi membri.

In questo contesto di profonda trasformazione si è inserita la previsione normativa contenuta nella Riforma del Terzo settore (L.106/2016), dove all’art.7 viene fornita una definizione di impatto sociale da intendersi come “valutazione qualitativa e quantitativa sul breve, medio e lungo periodo degli effetti svolte sulle comunità di riferimento rispetto all’obiettivo individuato” e all’art 4, comma 1, lett. 0 dove viene prevista la valorizzazione del “ruolo degli enti nella fase di programmazione, a livello territoriale” e l’individuazione di “criteri e modalità per l’affidamento agli enti dei servizi d’interesse generale, improntati al rispetto di standard di qualità e impatto sociale del servizio, obiettività, trasparenza e semplificazioni”. La valutazione di impatto sociale diventa dunque per il Legislatore lo strumento attraverso il quale gli enti di terzo settore comunicano ai propri stakeholders l’efficacia nella creazione di valore sociale ed economico, allineando gli obiettivi operativi con le aspettative dei propri interlocutori e migliorando l’attrattività nei confronti dei finanziatori esterni. Le linee guida, al momento al vaglio del Consiglio Nazionale del Terzo Settore, costituiranno un importante framework per guidare le organizzazioni nella definizione e strutturazione della valutazione d’impatto delle proprie attività, dove per valutazione – come sottolineato da Zamagni a più riprese – si intende il processo di attribuzione di valore piuttosto che un mero esercizio espositivo ed accademico su quanto posto in essere.

Il tema della valutazione di impatto si lega a doppio filo a quello del bilancio sociale come strumento unitario di rendicontazione e trasparenza delle attività svolte e del coinvolgimento degli stakeholders di riferimento interni ed esterni. Anche in questo caso la Riforma del Terzo settore è intervenuta laddove ha previsto l’obbligo di redazione del bilancio sociale sia per le imprese sociali (a prescindere dal volume delle entrate) che per tutti gli enti del terzo settore con ricavi, rendite, proventi o entrate comunque denominate superiore a 1 milione di euro. Il tema della rendicontazione non-finanziaria diventa sempre più pregnante anche nei confronti del mondo profit; la Direttiva 2014/95/UE impone infatti, a partire dal 2017, l’obbligo di comunicazione delle informazioni di carattere non finanziario agli Enti di Interesse Pubblico o EIP–per esempio le società quotate sui mercati regolamentati, gli enti creditizi o le compagnie assicurative – che costituiscono un “gruppo di grandi dimensioni” (1). Il tema della valutazione dell’impatto ha radici lontane: inizialmente introdotto per l’analisi dei costi e benefici delle politiche pubbliche ha conosciuto un’accelerazione nei Paesi anglosassoni a partire dagli anni 80 sotto il governo Reagan negli Stati Uniti e Thatcher in Gran Bretagna. Nel corso del tempo i processi di valutazione d’impatto hanno iniziato ad interessare sempre più anche tutto l’universo non profit quando destinatario di risorse pubbliche per l’attuazione e la realizzazione di interventi sociali. Se nei Paesi anglosassoni trasparenza, rendicontazione e misurazione sono ormai dunque parte integrante del lessico (ne è la conferma anche la presenza di organismi pubblici e privati istituiti ad hoc) in Italia il tema della valutazione, relativamente nuovo, è sicuramente destinato a dominare i tavoli di discussione del settore.

A fronte di un mondo che cambia rapidamente diverrà quindi sempre più importante pensare alla misurazione dell’impatto sociale non quanto semplice esercizio tecnico ma come modo per dare forma ad una narrazione. La vera sfida è trasformare questa narrazione per far sì che chi decide possa capirne il valore.

1- Questa tipologia di imprese viene definita dal testo del provvedimento come un “gruppo costituito da una società madre e una o più società figlie che, complessivamente, abbiano avuto su base consolidata, in media, durante l’esercizio finanziario un numero di dipendenti superiore a 500 ed il cui bilancio consolidato soddisfi almeno uno dei seguenti criteri: 1) totale dell’attivo dello stato patrimoniale superiore a 20.000.000 di euro; 2) totale dei ricavi netti delle vendite e delle prestazioni superiore a 40.000.000 di euro”.

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