Report di ricerca “Innovatori Sociali della Montagna Friulana”. Da Fondazione Pietro Pittini grazie a Coop Cramars e al Prof. Giovanni Carrosio UNITS
Come sostenere i giovani delle Terre Alte del FVG? FPP ha svolto una indagine per comprendere la situazione delle Aree interne della nostra Regione; è ora disponibile il rapporto commissionato alla Coop Cramars e al Prof Carrosio sugli Innovatori Sociali della Montagna Friulana.
Chi sono gli Innovatori della Montagna Friulana? Sono tutti coloro che abitano o ri-abitano la montagna rispondendo ai bisogni ambientali del territorio, animando le relazioni sociali e connettendo persone e luoghi. Coloro che decidono di rimanere a vivere e lavorare in montagna, o coloro che ritornano ai luoghi di origine o, ancora, coloro che scelgono la montagna come residenza neo-rurale. Sono anche loro quelli che cercano di combattere l’abbandono delle terre trovando forme di economia sostenibile e connessioni sociali e che vogliono vincere la spirale di marginalità socio- economica e l’involuzione delle comunità montane.
Ne abbiamo parlato al webinar del 16/09/2021 con gli autori Giovanni Carrosio,Vanni Treu, che ringraziamo, insieme a Alessia Zabatino (Forum Disuguaglianze e Diversità) e Lydia Alessio Vernì (Agenzia Lavoro e Sviluppo Impresa FVG).
Cos’è l’Innovazione Sociale? Cosa si intende con questo nuovo paradigma di crescita economica? Sintetizzando possiamo definirla come la ricerca di nuovi modelli di business e di innovazione sostenibile.
Su questi temi Fondazione Pietro Pittini ha istituito 5 premi di laurea per studenti dell’Università degli Studi di Udine che scelgano di affrontare questo vasto argomento all’interno delle proprie tesi di laurea: Marta Ciganotto ed Elisa Cosattini sono le 2 studentesse che la Commissione di valutazione ha scelto di premiare sulla base di criteri tra cui l’attinenza dell’elaborato rispetto all’argomento, la struttura, la completezza e complessità dell’elaborato, l’ originalità e spunti critici e l’ampiezza dell’apparato bibliografico.
Sempre di più lo sviluppo tecnologico riesce a supportare e stimolare innovazioni ad alto impatto sociale. Sono ormai molti i casi e le esperienze in cui la tecnologia diventa fattore abilitante di innovazione orientata al supporto di bisogni sociali diffusi (a titolo esemplificativo prodotti e servizi rispettosi di territori e stakeholder, ambiente, cibo e nutrizione, smart-city, educazione, servizi assistenziali).
Al tempo stesso le nuove generazioni ricercano sempre più modelli dove la produzione di valore sociale diventa elemento fondante del fare impresa. Secondo una ricerca di Deloitte per oltre 9 giovani su 10 lavorare per un’azienda responsabile a livello sociale e ambientale costituisce elemento di fondamentale importanza.
Il principio stesso del profitto, che sta alla base del sistema capitalistico, spinge a considerare nuove strade in cui neppure gli utili saranno sufficienti se non si prendono in considerazione le variabili di sostenibilità nelle scelte strategiche; emerge quindi a gran voce l’esigenza di un bilanciamento tra gli interessi economici, ambientali e sociali.
FPP intende coltivare un dialogo con le università della Regione su questi temi e continuerà a sostenere borse di studio su tesi di laurea dedicate al tema dell’innovazione sociale.
Marta Ciganotto si è laureata con una tesi dal titolo “Sostenibilità e internazionalizzazione. Le esperienze di I.CO.P GROUP, MANNI GROUP e PMP INDUSTRIES GROUP”; ha lavorato sulla sostenibilità, innovazione ambientale e internazionalizzazione, analizzando il vantaggio competitivo dell’innovazione ambientale, nonché la creazione di nuovo valore sociale e culturale che l’azienda si porta dietro seguendo la visione strategica di imprenditori che guardano anche alle persone e all’ambiente. In che misura l’innovazione ambientale può aumentare la propensione delle imprese ad espandersi nei mercati esteri e in che misura l’internazionalizzazione può contribuire ad aumentare l’attitudine delle imprese ad investire in sostenibilità con una visione di medio-lungo periodo e quali sono i fattori chiave che giocano un ruolo fondamentale in questo senso: questo uno dei punti toccati nella tesi di Marta.
Elisa Cosattini nella sua tesi “Renewable biological resources and the conversion of waste streams into value added products: circular economy in the cosmetics industry”, ha trattato il tema della circolarità nel settore cosmetico focalizzando l’attenzione ai materiali utilizzati nel confezionamento al fine di mantenere inalterate l’efficacia della formulazione, l’assenza di contaminazione microbiologica o di elementi esterni come i raggi UV e l’ossigeno, e la capacità di soddisfare le richieste estetiche dei consumatori. Nella sua tesi Elisa ha analizzato un nuovo tipo di sviluppo economico che risponda alle sempre più pressanti richieste che il green movement invoca, in particolare sulla grande quantità di rifiuti costituite dal polimero delle plastiche monouso; l’argomento delle bioplastiche si configura come interessante stimolo che favorisce lo sviluppo di un mercato cosmetico parallelo a quello tradizionale e improntato alla produzione e commercializzazione di prodotti cosmetici naturali accompagnato da una spinta verso materiali biodegradabili nel confezionamento dei cosmetici.
Abbiamo tutti consapevolezza dell’Agenda 2030 con i suoi Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, e i criteri ESG (environmental, social, governance), argomenti ormai diffusi e considerati in tutte le organizzazioni politiche, economiche e sociali, ma – riportando il ragionamento di Mario Calderini, professore del Politecnico di Milano – non dimentichiamo che tutti questi criteri rischiano di diventare vuote certificazioni che poco hanno a che fare con la trasformazione valoriale dell’economia se non ci si spinge su strade nuove ove le variabili di sostenibilità siano strettamente connesse con le scelte strategiche.
Dall’indagine emerge che i giovani ambiscono all’indipendenza, la maggior parte di loro vive ancora in famiglia e forse per questo desiderano l’autonomia economica; vogliono realizzarsi ed hanno idee chiare sul loro futuro lavorativo ben sapendo che le competenze, le esperienze laboratoriali, i tirocini e altri percorsi formativi sono importanti per creare un curriculum spendibile. Sono pronti ad affrontare un mondo del lavoro meritocratico e competitivo. I loro modelli? I più vari, da personaggi iconici come Ghandi, Marie Curie e Leonardo Da Vinci, a personaggi più pop come Iron Man – genio e filantropo – Cristiano Ronaldo per la sua perseveranza, o ancora Leonardo Del Vecchio, selfmademan di successo che rispetta i dipendenti, Alberto Angela, la Principessa Sissi, Coco Chanel. In fondo tutti personaggi che nella vita arrivano a conquistare i loro sogni e a realizzarsi, che sanno farcela da soli. Ma compare anche una forte paura del fallimento e di deludere le aspettative, l’ansia da prestazione, talvolta il panico per gli esami con il rischio paventato di chiudersi in sé stessi. La Pandemia li porta a desiderare la socialità, ma anche a far loro apprezzare le piccole cose, lo stare con gli amici e la felicità legate ai piccoli gesti; in definitiva l’incertezza del presente li porta anche a una forte determinazione nel costruire percorsi di autonomia. Il forte disagio psicofisico che sta vivendo la maggior parte fa loro desiderare lo stare con gli amici, il desiderio di viaggiare di nuovo e anche la stabilità economica (“vorrei potermi permettere uno psicologo”). È completamente assente la dimensione politica collettiva e invece vogliono migliorare la società, anche con un lavoro che dia loro la possibilità di “migliorare le condizioni di vita dei meno fortunati” evidenziando così una propensione sociale e umanitaria. Sono ragazzi responsabili che se avessero a disposizione subito 5.000€ li dedicherebbero perlopiù ad arricchire la propria formazione con master e esperienze di studio.
Alla survey hanno risposto ben 828 studenti di tutte le facoltà degli Atenei e Istituti del FVG beneficiari dei servizi dell’Agenzia Regionale per il diritto allo studio (ARDIS); ha partecipato anche il Comitato degli studenti che ha agevolato il lavoro eccellente svolto dal partner Meraki (strutturazione della ricerca quali-quantitativa).
Fondazione Pietro Pittini è grata a tutti per la partecipazione massiva a questa indagine che ci porterà a elaborare nuove risposte. Continuiamo a investire sui giovani e sul loro potenziale.
Alla fine del 1700 Maria Teresa d’Austria commissionò la creazione di un automa, un giocatore di scacchi, dalle sembianze e dall’abbigliamento orientale – da qui il nome “Turco”, con cui sarebbe passato alla storia – in grado di muovere i pezzi su una scacchiera poggiata su una grande cassa piena di ruote, fili, meccanismi e ingranaggi, che una volta avviati permettevano all’automa di spostare alfieri, torri e pedoni, battendosi alla pari con i migliori scacchisti di tutto il mondo. Il Turco stupì la corte Asburgica, tanto che Wolfgang Kempelen, il suo inventore, fu spinto a portare la sua creazione in giro per l’Europa riscuotendo un enorme successo.
L’automa naturalmente non era un automa, ma un illusionismo, un gioco di prestigio, cosa peraltro mai negata dallo stesso inventore. Come tutti immaginavano, era manovrato da un uomo, ma nessuno riuscì a capirne e descriverne il funzionamento fino a quando Edgar Allan Poe decenni dopo scoprì i meccanismi che si celavano al suo interno. L’aneddoto del Turco meccanico di Kempelen appare oggi più che mai attuale. Il prorompente sviluppo dell’automazione, della robotica e dell’intelligenza artificiale sta cambiando non solo i paradigmi di produzione ma anche il modo di concepire il lavoro in modi ancora non del tutto chiari e definiti. Gli effetti del cambiamento tecnologico sulla quantità e nella qualità dell’occupazione sono oggetto d’analisi da moltissimo tempo e che le macchine possano sostituire il lavoro è stato, ciclicamente, uno dei principali oggetti di riflessione e di studio. Già nel 1983, il premio Nobel Wassily Leontief fece quello che allora sembrò un pronostico sorprendente, affermando che le macchine avrebbero sostituito la manodopera umana in modo alquanto simile a come il trattore ha sostituito il cavallo. Prima di lui, anche l’economista inglese Ricardo aveva ipotizzato uno scenario di una produzione industriale “completamente realizzata dalle macchine”.
Oggi sono molti gli studiosi e le istituzioni che si stanno interrogando dunque non solo sugli impatti dell’automatizzazione sul mercato del lavoro ma anche sull’individuazione delle competenze che saranno più richieste dalle imprese negli anni a venire. Secondo il World Economic Forum, entro il 2030 il 50% dei lavori sarà trasformato dall’automatizzazione ma solo il 5% scomparirà totalmente. Al tempo stesso, sempre secondo l’Organizzazione svizzera, il 65% dei bambini in età scolare farà un lavoro che ad oggi ancora non esiste. Se dunque non è semplice prevedere, come moderni rabdomanti, come sarà il mondo del lavoro nel 2030 o calcolare modelli di business che non sono ancora stati ideati risulta invece importante lavorare sulla creazione e sulla promozione di competenze e percorsi formativi in grado di rispondere ad un mondo che cambia rapidamente.
La crisi causata dal COVID-19 ha costretto più di 1 miliardo di studenti e giovani fuori dalle scuole, stimolando in questo modo la più importante transizione digitale nel mondo educativo della storia. Oggi le scuole e le università stanno, con non poca fatica, ridisegnando la didattica e l’apprendimento per permettere a tutti di frequentare le lezioni da remoto in vista di possibili ondate di ritorno del virus. Se da un lato questo rappresenta uno scoglio sia per gli insegnanti che per le famiglie (sono noti i problemi di connessione e mancanza di dispositivi in svariate parti del nostro Paese) questo apre un mondo di opportunità per re-immaginare forme di apprendimento nuove e al passo con i tempi. La crisi che stiamo vivendo unita ai cambiamenti della quarta rivoluzione industriale sta rendendo più labili i confini tra mondo fisico e digitale. In questo contesto ci si deve domandare se i nostri studenti siano pronti ad un mondo dove gli sviluppi tecnologici nel campo dell’intelligenza artificiale, della robotica, della biotecnologia, delle energie pulite e del quantum computing saranno sempre più rilevanti. Nel futuro prossimo 9 lavori su 10 richiederanno competenze digitali ma al tempo stesso, secondo una ricerca commissionata da JP Morgan, il gap digitale potrà portare a 1.67 milioni di posti vacanti nel settore ICT. Il World Economic Forum di recente, in maniera quasi provocatoria, ha chiesto se stiamo effettivamente incoraggiando i giovani a pensare a come la scienza, la tecnologia e l’innovazione possono aiutare a rispondere alle sfide economiche, geopolitiche, ambientali e a livello di società.
In molti settori e paesi le professioni più richieste non esistevano fino a 10 anni fa e questo trend sta subendo una decisa accelerazione. Secondo l’Unesco “per rispondere ai bisogni di base di un Paese l’insegnamento della scienza è un imperativo strategico”. Il forte livello di penetrazione degli smartphone unito allo sviluppo di strumenti didattici sempre più interattivi e coinvolgenti (pensiamo per esempio alle potenzialità delle stampanti 3d) ci spingono a ragionare sull’importanza dell’insegnamento delle STEM ma anche al modo stesso in cui questi contenuti vengono trasferiti. Nella quarta rivoluzione industriale, se vogliamo che i nostri studenti siano in grado di rispondere alle sfide globali, non possiamo più fare affidamento su modelli educativi desueti. Oggi disponiamo di tutti gli strumenti per poterlo fare. Non perdiamo questa occasione!
In viaggio tra storia, scienza ed economia. Un gruppo di giovani studenti universitari ci accompagna alla scoperta dei luoghi che hanno segnato lo sviluppo di Trieste
Trieste, 2 settembre 2020. Come è nato il sistema scientifico di Trieste e che rilevanza ha oggi? Che ruolo occupa il porto nello sviluppo dei traffici con l’Europa e il resto del mondo? Quanto e come la letteratura hanno plasmato il volto della città? Quanto ha influito il pensiero Basagliano nella concezione moderna di gestione della salute mentale? Questi sono solamente alcuni dei temi che 23 giovani studenti universitari raccontano in una serie di video realizzati nell’ambito del progetto Trieste 2020 Science Greeters ideato dalla Fondazione Pietro Pittini in collaborazione con la Fondazione Internazionale per il progresso e la libertà delle scienze e con l’Università degli Studi di Trieste per il Science in the City Festival. Il progetto, attraverso il coinvolgimento diretto di un gruppo di studenti delle Università di Trieste e Udine appositamente formati, ha lo scopo di far conoscere i luoghi – spesso situati al di fuori dei percorsi turistici tradizionali – che hanno segnato lo sviluppo scientifico, storico, ed economico di Trieste. 7 filmati resi disponibili sui canali social della Fondazione presentano attraverso le voci e le immagini dei giovani la Grotta Gigante, l’ICTP, l’Osservatorio Astronomico, il Parco di San Giovanni, il Porto di Trieste, la SISSA, l’Università degli Studi di Trieste e con il patrocinio del comune di Trieste. Oltre alle singole Istituzioni succitate, alla buona riuscita dell’operazione hanno contribuito fortemente anche l’Associazione Guide Turistiche del Friuli Venezia Giulia e la sua Presidente Francesca Pitacco, la Cooperativa Sociale La Collina, la Prof.ssa Diana Barillari, il Prof. Pietro Greco, il Prof. Giulio Melinato e la Prof.ssa Anna Maria Vinci. “Siamo particolarmente soddisfatti di questa iniziativa che ha visto la partecipazione e il coinvolgimento di alcuni giovani universitari provenienti da diversi indirizzi di studio in un percorso di tirocinio formativo che promuove la conoscenza del territorio che li circonda” dichiara la Presidente Marina Pittini che prosegue “l’emergenza legata a Covid-19 ci ha portato a ripensare le modalità di fruizione dei contenuti trasformando gli itinerari guidati in video-narrazioni, che speriamo possano così essere visionati da un numero ancora maggiore di persone”. “Un ringraziamento speciale” conclude la dott.ssa Pittini “va a tutti i partner, i relatori e gli studenti che per mesi, nonostante il lockdown, hanno continuato a lavorare con entusiasmo e passione al progetto”. Di seguito i singoli studenti: Maria Carmen Barro, Andrea Bosso, Giovanna Bradassi, Nicola Bressan, Irene Burelli, Andrea Buscema, Mattia Calligari, Cecilia Collà Ruvolo, Camilla Crasnich, Morgana Dalla Palma, Valeria De Leo, Iacopo De Santis, Ylenia D’Elia, Sara Di Cosmo, Eleonora Galliani, Giulia Maio, Aurora Mameli, Gaia Marsich, Veronica Migliozzi, Serena Restucci, Lisa Russignan, Martina Vascotto, Francesca Zavino.
In Italia le aree interne rappresentano il 53% circa dei Comuni italiani, ospitano il 23% della popolazione italiana, pari a oltre 13,54 milioni di abitanti, e occupano una porzione del territorio che supera il 60% della superficie nazionale. Si tratta di un patrimonio culturale, artistico ed etnografico che rischia oggi di scomparire a fronte degli ormai inarrestabili fenomeni di urbanizzazione che caratterizzano -e sempre di più lo faranno – le dinamiche dei paesi industrializzati (secondo il World Urbanization Prospect 1 persona su 2 nel mondo vive oggi in agglomerati urbani). La forza attrattiva delle città, caratterizzate da migliori opportunità lavorative e di crescita sta mettendo a dura prova le aree interne che, a fronte di una dinamica demografica come quella del nostro Paese sempre più preoccupante, si trovano oggi a dover fare i conti con una mancanza cronica non solo di servizi e infrastrutture ma anche di capitale umano che si traduce in scarsa capacità di innovare e reinventarsi. Se dunque le città costituiscono oggi, come ben definito dall’economista Edward Glaeser “il laboratorio dell’umanità dove le persone giungono per sognare, creare, costruire e ricostruire” non dobbiamo dimenticare che il progressivo declino delle aree interne rischia di esacerbare ancora di più i fenomeni di impoverimento del tessuto sociale e di aumento delle disuguaglianze a livello territoriale.
Un primo importante intervento per favorire lo sviluppo e il potenziamento di queste zone è avvenuto nel nostro Paese con l’introduzione nel 2012 della c.d. SNAI (Strategia Nazionale per le Aree Interne) voluta dall’ex Ministro Fabrizio Barca con l’obiettivo di invertire e migliorare le tendenze demografiche in atto in alcuni territori fragili della nostra Penisola. Per raggiungere questo ambizioso obiettivo si è scelto di fare leva su 2 direttrici: da un lato, sulle “precondizioni per lo sviluppo territoriale” attraverso il riequilibrio e l’adeguamento della qualità/quantità dell’offerta dei servizi pubblici essenziali e, dall’altro, intervenendo su quegli assets capaci di innescare processi di sviluppo – ovvero i punti di forza di questi territori, riconducibili alla presenza di produzioni agroalimentari specializzate, al patrimonio culturale e naturale, all’energia, al turismo, al saper fare locale. Nell’ambito delle 72 aree nazionali prototipali selezionate come idonee alla sperimentazione di interventi di rivitalizzazione troviamo anche 3 territori della nostra Regione FVG: Alta Carnia, Dolomiti Friulane e Val Canale, individuati dal Comitato Nazionale alla luce delle loro caratteristiche demografiche e di capacità di accesso ai servizi per la cittadinanza.
Se la strategia rappresenta da un lato un primo importante passo nella direzione di un ripensamento di queste aree, un contributo sempre più rilevante arriva non solo dall’universo non profit, da sempre in prima linea, ma anche dai cittadini, e soprattutto dai giovani che mossi dal crescente interesse verso l’agricoltura sostenibile, il turismo dei borghi, la ricerca della dimensione comunitaria intravedono opportunità lavorative e di realizzazione professionale lontano dalle grandi città (su questo segnaliamo le interessanti considerazioni di Dario de Vico sul Corriere della Sera di qualche giorno fa). Al tempo stesso sono anche le imprese e il mondo profit più in generale che scelgono di scendere in campo e investire in operazioni di rivitalizzazione e rigenerazione di aree interne del nostro Paese: si pensi al caso di Brunello Cucinelli con il borgo umbro di Solomeo, sede della sua azienda oppure a quello del colosso americano Airbnb che assieme all’impresa sociale “Wonder Grottole” ha deciso di investire in un progetto di ripopolamento del piccolo comune della Basilicata attraverso la messa a disposizione della sua rete globale di utenti. Oggi più che mai dunque sta crescendo la convinzione che queste aree possono rappresentare un formidabile volano per il ripensamento di modelli di crescita sostenibili e più vicini ai territori e le comunità.
Come Fondazione Pietro Pittini di recente abbiamo avuto l’opportunità di sostenere la realizzazione, nella nostra Regione, del progetto “Nano Valbruna”: è nato dall’esperienza di Gagliato, un piccolo paese dell’entroterra calabro dove ogni anno, grazie al format “Nano Gagliato” decine di scienziati e ricercatori provenienti da tutto il mondo si incontrano per parlare di nanoscienze e tecnologia coinvolgendo in modo fattivo la popolazione locale e i giovani del territorio. Sulla base di questo interessante modello – che favorisce non solo la diffusione di temi oggi più che mai fondamentali ma anche la contaminazione con il territorio e i suoi abitanti – si è scelto, per la prima volta, di replicare questo intervento anche sul nostro territorio ed in particolare nella zona di Valbruna (UD), una delle aree prototipali previste dalla Strategia Nazionale Aree Interne, Il progetto che ha avuto luogo dal 2 al 5 luglio scorso è riuscito a convogliare scienziati, cittadini e istituzioni locali per discutere assieme delle ricadute che le nanotecnologie possono avere nella lotta ai cambiamenti climatici. Particolarmente interessante, anche alla luce della crescente importanza delle tematiche STEM, è stata poi l’introduzione di un format Nano Piciule (piccolo in friulano) dedicato ai più giovani con la realizzazione di attività laboratoriali in grado di stimolare la curiosità e l’interesse nei confronti delle materie scientifiche e delle loro applicazioni nella vita di tutti i giorni.
Sebbene la valorizzazione e il ripensamento delle aree interne rappresenti un processo ancora lungo e tortuoso a causa dei problemi strutturali con cui ancora oggi moltissime di queste aree si scontrano (infrastrutture, banda larga, servizi solo per citarne alcune) il patrimonio e l’unicità che questi luoghi portano con sé ci spingono a mettere, , insieme le forze per far sì che essi possano rappresentare un nuovo motore di sviluppo identitario per tutto il Paese, oggi più che mai.
Per fornire le migliori esperienze, utilizziamo tecnologie come i cookie per memorizzare e/o accedere alle informazioni del dispositivo. Il consenso a queste tecnologie ci permetterà di elaborare dati come il comportamento di navigazione o ID unici su questo sito. Non acconsentire o ritirare il consenso può influire negativamente su alcune caratteristiche e funzioni.
Funzionale
Sempre attivo
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono strettamente necessari al fine legittimo di consentire l'uso di un servizio specifico esplicitamente richiesto dall'abbonato o dall'utente, o al solo scopo di effettuare la trasmissione di una comunicazione su una rete di comunicazione elettronica.
Preferenze
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per lo scopo legittimo di memorizzare le preferenze che non sono richieste dall'abbonato o dall'utente.
Statistiche
L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici.L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici anonimi. Senza un mandato di comparizione, una conformità volontaria da parte del vostro Fornitore di Servizi Internet, o ulteriori registrazioni da parte di terzi, le informazioni memorizzate o recuperate per questo scopo da sole non possono di solito essere utilizzate per l'identificazione.
Marketing
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per creare profili di utenti per inviare pubblicità, o per tracciare l'utente su un sito web o su diversi siti web per scopi di marketing simili.