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La sfida delle aree interne: l’esempio di “Nano Valbruna”

In Italia le aree interne rappresentano il 53% circa dei Comuni italiani, ospitano il 23% della popolazione italiana, pari a oltre 13,54 milioni di abitanti, e occupano una porzione del territorio che supera il 60% della superficie nazionale. Si tratta di un patrimonio culturale, artistico ed etnografico che rischia oggi di scomparire a fronte degli ormai inarrestabili fenomeni di urbanizzazione che caratterizzano -e sempre di più lo faranno – le dinamiche dei paesi industrializzati (secondo il World Urbanization Prospect 1 persona su 2 nel mondo vive oggi in agglomerati urbani). La forza attrattiva delle città, caratterizzate da migliori opportunità lavorative e di crescita sta mettendo a dura prova le aree interne che, a fronte di una dinamica demografica come quella del nostro Paese sempre più preoccupante, si trovano oggi a dover fare i conti con una mancanza cronica non solo di servizi e infrastrutture ma anche di capitale umano che si traduce in scarsa capacità di innovare e reinventarsi. Se dunque le città costituiscono oggi, come ben definito dall’economista Edward Glaeser “il laboratorio dell’umanità dove le persone giungono per sognare, creare, costruire e ricostruire” non dobbiamo dimenticare che il progressivo declino delle aree interne rischia di esacerbare ancora di più i fenomeni di impoverimento del tessuto sociale e di aumento delle disuguaglianze a livello territoriale.

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Un primo importante intervento per favorire lo sviluppo e il potenziamento di queste zone è avvenuto nel nostro Paese con l’introduzione nel 2012 della c.d. SNAI (Strategia Nazionale per le Aree Interne) voluta dall’ex Ministro Fabrizio Barca con l’obiettivo di invertire e migliorare le tendenze demografiche in atto in alcuni territori fragili della nostra Penisola. Per raggiungere questo ambizioso obiettivo si è scelto di fare leva su 2 direttrici: da un lato, sulle “precondizioni per lo sviluppo territoriale” attraverso il riequilibrio e l’adeguamento della qualità/quantità dell’offerta dei servizi pubblici essenziali e, dall’altro, intervenendo su quegli assets capaci di innescare processi di sviluppo – ovvero i punti di forza di questi territori, riconducibili alla presenza di produzioni agroalimentari specializzate, al patrimonio culturale e naturale, all’energia, al turismo, al saper fare locale. Nell’ambito delle 72 aree nazionali prototipali selezionate come idonee alla sperimentazione di interventi di rivitalizzazione troviamo anche 3 territori della nostra Regione FVG: Alta Carnia, Dolomiti Friulane e Val Canale, individuati dal Comitato Nazionale alla luce delle loro caratteristiche demografiche e di capacità di accesso ai servizi per la cittadinanza.

Se la strategia rappresenta da un lato un primo importante passo nella direzione di un ripensamento di queste aree, un contributo sempre più rilevante arriva non solo dall’universo non profit, da sempre in prima linea, ma anche dai cittadini, e soprattutto dai giovani che mossi dal crescente interesse verso l’agricoltura sostenibile, il turismo dei borghi, la ricerca della dimensione comunitaria intravedono opportunità lavorative e di realizzazione professionale lontano dalle grandi città (su questo segnaliamo le interessanti considerazioni di Dario de Vico sul Corriere della Sera di qualche giorno fa).  Al tempo stesso sono anche le imprese e il mondo profit più in generale che scelgono di scendere in campo e investire in operazioni di rivitalizzazione e rigenerazione di aree interne del nostro Paese: si pensi al caso di Brunello Cucinelli con il borgo umbro di Solomeo, sede della sua azienda oppure a quello del colosso americano Airbnb che assieme all’impresa sociale “Wonder Grottole” ha deciso di investire in un progetto di ripopolamento del piccolo comune della Basilicata attraverso la messa a disposizione della sua rete globale di utenti. Oggi più che mai dunque sta crescendo la convinzione che queste aree possono rappresentare un formidabile volano per il ripensamento di modelli di crescita sostenibili e più vicini ai territori e le comunità.

Come Fondazione Pietro Pittini di recente abbiamo avuto l’opportunità di sostenere la realizzazione, nella nostra Regione, del progetto “Nano Valbruna”: è nato dall’esperienza di Gagliato, un piccolo paese dell’entroterra calabro dove ogni anno, grazie al format “Nano Gagliato” decine di scienziati e ricercatori provenienti da tutto il mondo si incontrano per parlare di nanoscienze e tecnologia coinvolgendo in modo fattivo la popolazione locale e i giovani del territorio. Sulla base di questo interessante modello – che favorisce non solo la diffusione di temi oggi più che mai fondamentali ma anche la contaminazione con il territorio e i suoi abitanti – si è scelto, per la prima volta, di replicare questo intervento anche sul nostro territorio ed in particolare nella zona di Valbruna (UD), una delle aree prototipali previste dalla Strategia Nazionale Aree Interne, Il progetto che ha avuto luogo dal 2 al 5 luglio scorso è riuscito a convogliare scienziati, cittadini e istituzioni locali per discutere assieme delle ricadute che le nanotecnologie possono avere nella lotta ai cambiamenti climatici. Particolarmente interessante, anche alla luce della crescente importanza delle tematiche STEM, è stata poi l’introduzione di un format Nano Piciule (piccolo in friulano) dedicato ai più giovani con la realizzazione di attività laboratoriali in grado di stimolare la curiosità e l’interesse nei confronti delle materie scientifiche e delle loro applicazioni nella vita di tutti i giorni.

Sebbene la valorizzazione e il ripensamento delle aree interne rappresenti un processo ancora lungo e tortuoso a causa dei problemi strutturali con cui ancora oggi moltissime di queste aree si scontrano (infrastrutture, banda larga, servizi solo per citarne alcune) il patrimonio e l’unicità che questi luoghi portano con sé ci spingono a mettere, , insieme le forze per far sì che essi possano rappresentare un nuovo motore di sviluppo identitario per tutto il Paese, oggi più che mai.

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