Fondazione Pietro Pittini partecipa per la seconda volta all’open camp organizzato da Fondazione Opes-Lcef. Quest’anno, tra i colli dell’Umbria, più di 300 persone dai 16 ai 67 anni e provenienti da 26 nazionalità diverse hanno discusso, ragionato e lavorato assieme per quattro giorni sul ruolo chiave che possono e devono rivestire il capitale umano e il capitale socio-relazionale.
Prima di conoscere le impressioni e le emozioni che questa esperienza ci ha lasciato, è opportuno scoprire brevemente in cosa consiste, a chi si rivolge e quali sono gli obiettivi dell’evento SEOC.
Il Social Enterprise Open Camp è un ritrovo internazionale dedicato al social business che riunisce le voci più significative nel campo dell’imprenditoria a impatto a livello mondiale. Un’esperienza “formativa” intensiva, immersiva e residenziale che si contraddistingue per un programma ricco di workshop, casi studio da tutto il mondo, sessioni plenarie e keynote speech. Protagonisti delle attività sono imprenditori d’impatto, aspiranti innovatori, operatori di imprese e cooperative sociali, associazioni, operatori della cooperazione internazionale, investitori, fondazioni, università e accademie. Gli obiettivi sono: implementare l’ecosistema delle imprese sociali e a impatto attraverso workshop di condivisione, mettere in dialogo e far crescere il network delle realtà che si occupano di economia sociale per costruire le imprese sociali permettendo a queste ultime di crescere grazie all’interlocuzione con i protagonisti dell’industria e della finanza.
Il tema di questa edizione è stato la valorizzazione del capitale umano e sociale come fulcro per le soluzioni imprenditoriali e sociali di domani. Le giornate sono state piene e coinvolgenti, con interventi di alto spessore, laboratori partecipativi e pause di condivisione e convivialità. Ognuno di questi momenti e ogni persona a suo modo è stata preziosa perché ci ha donato nuovi strumenti, ispirazioni e punti di vista su un tema pivotale per noi che è quello dell’imprenditorialità. Quest’ultima, infatti, rappresenta uno dei driver attraverso i quali operiamo sul territorio, disegnando e attivando progetti che coinvolgano attivamente i giovani sulle dinamiche che regolano il mondo delle aziende di oggi e di domani e sulle buone pratiche del social business con l’obiettivo di renderli protagonisti attivi dell’innovazione sociale.
A Todi sono stati proprio i giovani a rappresentare in larga parte quel “capitale umano” da liberare e valorizzare; tuttavia, in mancanza di una buona dose di ascolto attivo e pragmaticità economica, frasi come liberare il talento e valorizzare nuova imprenditorialità rimangono spesso vuote e prive di significato trasformandosi, a lungo andare, in promesse non mantenute. Buone prassi che ridanno vita a buone parole; eccone alcune, allora, che abbiamo voluto portare via con noi dal palcoscenico del SEOC: cambiamento, human center network, trasformazione, generosità, empowerment, innovazione, anti-fragilità, identità e bellezza dei luoghi, coraggio di osare.
Giovani in ascolto e che vengono ascoltati, che presentano e introducono gli ospiti, che partecipano e guidano workshop, che raccontano le loro esperienze di imprenditoria sociale, di associazionismo o di formazione ma che misurano anche le difficoltà, le paure o i fallimenti. Questo in un contesto di innovazione sociale: strumenti da veicolare ai giovani per un futuro lavorativo che ha a cuore la sostenibilità dell’ambiente e i bisogni urgenti della società. Creatività, sfide, ascolto dei bisogni dal basso, valorizzazione della bellezza: frammenti di un nuovo paradigma economico, quello del social enterprise.